Natura giuridica della S.c.i.a? Risponde l’Adunanza Plenaria

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Tra le questioni che hanno causato ampio dibattito dottrinale e forti oscillazioni giurisprudenziali, vi è, sicuramente, quella legata alla natura giuridica della Segnalazione certificata di inizio attività (di seguito S.c.i.a), tantoché si è reso necessario sollecitare l’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato al fine di chiarire quali fossero le caratteristiche di tale istituto e quali fossero le conseguenze a livello processuale.

Ma cos’è la S.c.i.a?

Trattasi di un istituto di semplificazione amministrativa introdotto dall’art. 49, comma 4 bis, del D.L. n. 78 del 31.05.2010, che ha sostituito la Dichiarazione di Inizio Attività (DIA) inizialmente prevista nella L. 241/1990, ed oggi regolata proprio dall’art. 19 della L. 241/1990, recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi“.

In virtù di tale istituto di semplificazione, il privato ha la possibilità di cominciare a svolgere immediatamente una attività di varia natura (attività d’impresa e commerciale, edilizia) senza dover necessariamente attendere l’intervento della P.A., il quale si verifica posteriormente soltanto ad attività già cominciata.

L’istituto in questione può essere utilizzato per il compimento di atti che necessitano autorizzazioni, licenze, concessioni non costitutive, permessi o nulla osta, domande per le iscrizioni in albi o ruoli, richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e consta (semplificando) in una mera “autocertificazione” che il privato rivolge alla P.A.

Una volta presentatala S.c.i.a, la P.A. ha il dovere entro 60 giorni (o entro 30 giorni in caso di S.c.i.a. edilizia) di pronunciarsi sulla regolarità dell’attività iniziata dal privato e, in caso di assenza di requisiti o illegittimità/irregolarità, può inibire la prosecuzione dell’attività o sollecitare entro al massimo 30 giorni la regolarizzazione della stessa.

Ma cosa accade se un soggetto terzo lamenta la lesività la S.c.i.a. presentata dal privato? Come può il terzo tutelarsi?

La risposta a tale quesito è stata particolarmente controversa, tantoché nel corso degli anni si sono riscontrate forti oscillazioni giurisprudenziali e dottrinali che sono culminate con la celeberrima Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, la quale ha sancito un punto fermo sulla natura giuridica della S.c.i.a. e sulla possibilità di impugnarla anche in sede processuale.

L’Adunanza Plenaria n. 15/2011 ha ribadito che la S.c.i.a. “non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge“. La S.c.i.a è, quindi, una mera segnalazione presentata dal privato che sollecita, solo successivamente, l’esercizio dei poteri di controllo e di valutazione della Pubblica Amministrazione.

Per tale ragione al terzo è preclusa la possibilità di impugnare direttamente presso gli Organi della Giustizia Amministrativa la S.c.i.a in quanto atto di natura privatistica.

Il terzo, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, può sollecitare tramite istanza rivolta all’Amministrazione l’esercizio dei poteri amministrativi di verifica, finalizzati, ad esempio ad inibire l’attività (poteri che non sono stati esercitati entro il periodo di 60 giorni o 30 in caso di materia edilizia) e, soltanto in caso di inerzia della P.A. può esperire l’azione di cui all’art. 31 commi 1, 2 (Azione avverso il silenzio) del Codice del processo amministrativo.

L’Adunanza Plenaria n. 15/2011 ha assunto una importanza determinante per risolvere i contrasti dottrinali e le varie oscillazioni giurisprudenziali ed ha stabilito un principio fondamentale: la S.c.i.a è un atto privatistico non direttamente impugnabile.

Tale assunto, oggi, risulta pacifico e corroborato dall’intervento del legislatore, che, recependo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria, tramite l’art. 6 del D.L. 13 agosto 2011 n. 138, ha modificato l’art. 19 della L. 241/1990, ed ha inserito il comma 6-ter, il quale disciplina proprio le modalità tramite cui il terzo asseritamente danneggiato può invocare la propria tutela. “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1,2,3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n.104″.

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