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Con la sentenza n. 5171/2024, il Consiglio di Stato si è pronunciato su una delicata questione in tema di riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario nella materia di appalti.
Come noto, la materia appalti è suddivisa in due distinte fasi, di cui la prima attinente alla c.d. “fase pubblicistica” del rapporto e la seconda relativa alla “fase privatistica” dello stesso. Il punto di snodo tra queste due fasi è rappresentato dalla sottoscrizione del contratto tra la Stazione Appaltante e l’Operatore economico aggiudicatario.
Ma dove si radica la giurisdizione nel caso in cui, dopo la sottoscrizione del contratto (e dunque, formalmente, in sede privatistica del rapporto) l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere autoritativo e discrezionale, adotta il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, asserendo comportamenti scorretti, inadempienti o dilatori dell’aggiudicatario, manifestati successivamente all’aggiudicazione definitiva?
Presso quale Giudice l’Operatore economico potrebbe far valere le proprie ragioni e contestare il provvedimento di revoca adottato dall’Amministrazione?
Il Consiglio di Stato, nell’affrontare tale questione, ha rilevato che anche nei casi in cui la revoca intervenga nella fase privatistica del rapporto, tale provvedimento è sempre espressione del potere pubblico autoritativo della PA.
Difatti, il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione per sopravvenuti motivi di pubblico interesse costituisce manifestazione di autotutela pubblicistica e, per tale ragione, l’eventuale contenzioso finalizzato ad impugnare i provvedimenti adottati dall’Amministrazione devono essere valutati dal giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7, 1° comma, c.p.a.
Nell’esprimere tale principio, il Consiglio di Stato richiama gli insegnamenti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la quale ha chiarito quanto segue: “Ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione”. Ne deriva che “La giurisdizione del giudice ordinario si configura in tutte le controversie in cui si denunci un comportamento della P.A. privo di ogni interferenza con un atto autoritativo, non potendosi reputare neanche mediatamente espressione dell’esercizio del potere autoritativo, o quando l’atto o il provvedimento di cui la condotta dell’amministrazione sia esecuzione non costituisca oggetto del giudizio, facendosi valere unicamente l’illiceità del comportamento del soggetto pubblico ex art. 2043 c.c., suscettibile di incidere su posizioni di diritto soggettivo del privato” (Cass. Sez. U. 29 dicembre 2016, n. 27455; Cass. Sez. U., 01/03/2023, n.6100).
Considerato quindi che l’articolo 7 del Codice del Processo Amministrativo devolve alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, è chiaro che in caso di revoca del provvedimento di aggiudicazione – anche laddove intervenuto nella fase pubblicistica – l’eventuale contenzioso debba essere radicato dinanzi al giudice amministrativo competente.